Al poeta di Livorno
Non so se hai mai pensato, Giorgio
di dover ringraziare – per te,
per tutti quelli come te –
le carrette del latte del ‘44
e il vetro di una guerra che le vedeva passare
tra le tue righe all’alba
come metonimie cui dar voce, controcanto
e in qualche modo un lume, per rimario.
Non so se hai mai pensato a queste cose.
Certo che un po’ ti invidio – sai
perché il tuo pettorale, portato intatto sino a qui
io non l’ho mai posseduto
né potevo d’altronde, ché sono un giovincello.
Ti è stato dato in sorte d’esser stato
uno dei pochi ad onorarlo con le parole giuste
-sottile paso doble inarrivabile
in un momento solo, irripetibile.
Vorrei dirti bravo e fortunato
senza clamore, così, come i tuoi stessi versi
che mi porto dentro hanno saputo dirmi.
Quella che si vela di te è la coscienza
di un privilegio che non ha fatto i salti
per venirti in petto;
che ha scelto il gelo di un rifugio
senza chiedere altro che di esistere
stretto stretto al mondo
nel tuo fiato
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